officina della comunicazione

Non si può non apparire

CHARLIE'S SUGGESTION

Possiamo scegliere come apparire, ma dobbiamo lasciare il potere di scomparire, a volte nostro malgrado, al mondo dei supereroi. Per questo in Blink, abbiamo dato il via al progetto KÓSMOS, l’officina della cosmesi, rivolto ad aziende e professionisti delle soluzioni di bellezza che desiderano far crescere il proprio brand e far prosperare il proprio mercato intraprendendo nuovi approcci comunicativi. Il “non si può non apparire” richiama il ben noto “non si può non comunicare”, anzi sembra quasi esserne il fondamento. Partendo da questa riflessione, nella nostra Officina della Comunicazione Blink ci siamo chiesti come portarla nell’azione, in un contesto che sembra, da una parte, subire il potere dell’apparenza e, dall’altra, cercare di arginarlo demonizzandolo. Tale ambivalenza ci tiene in scacco se non siamo capaci di uscirne. Ci può così venire in aiuto l’insegnamento dantesco secondo cui la bellezza risveglierebbe l’animo all’agire e con esso, aggiungiamo, l’opportunità di intuire la profondità della leggerezza. Ecco che allora il moralismo può cedere il passo all’etica, che trova nell’estetica una luce per illuminare il suo percorso, ricercando in esso l’antico significato del termine “cosmo”, a riempire di nuovo senso le sue odierne declinazioni, tra cui cosmesi e cosmetica. Da questi pensieri ha mosso i primi passi il progetto KÓSMOS. Una vera e propria officina della cosmesi, giusto per rimanere fedeli alla nostra natura di meccanici della comunicazione, che vede la propria genesi nell’incontro tra Cristiana Giacchetti, con le sue competenze di esperta nella comunicazione d’impresa e nello sviluppo di progetti strategici nel settore della cosmetica e Amedeo Patrizi, professionista del settore ed esperto nella costruzione di relazioni a “cosmesi di sistema”, oltre che con me, Cristina Vaudagna, che potrei sembrare il terzo incomodo, se non fosse per i miei studi umanistici, per qualche apporto progettuale e, soprattutto, per la fascinazione alla quale mi lascio andare fin da piccola per questo mondo. Una passione per la quale ad esempio i miei genitori dovettero cambiare percorso per accompagnarmi all’asilo, per evitare che mi incollassi per minuti e minuti a una vetrina nella quale erano esposti molte boccettine colorate che richiamavano il mio sguardo e che più tardi ho scoperto appartenere al variopinto mondo degli smalti. Ora tolgo l’incomodo per lasciare a Cristiana e ad Amedeo il piacere di presentarci il progetto in questa intervista reciproca.

 

Direi di partire da una domanda: “la bellezza ci salverà?”, quesito questo che è poi alla base di un brevissimo ma intenso saggio a due voci: quella della filosofa Agnes Heller e del sociologo Zygmunt Bauman. Tu, Amedeo, cosa risponderesti ai due pensatori?

Che nel dubbio, è sempre meglio farsi trovare preparati.

E per non farci trovare impreparati, è proprio il caso di dire in un blink, abbiamo deciso di integrare le nostre competenze e conoscenze per costruire il progetto Kósmos.  

Ci abbiamo messo poco perché avevamo le idee chiare.

Certo conoscevamo molto bene il problema di partenza a tal punto che, per evitare fraintendimenti rispetto al mercato cui il nostro progetto si riferisce, gli abbiamo dato addirittura il nome Kósmos. 

E infatti la parola, che viene dal greco, rimanda ovviamente al mondo della cosmetica, data la finalità del progetto, costruire soluzioni comunicative nell’ambito della bellezza. Ma dall’altra evoca anche il cosmo, proprio per l’ampiezza di respiro che il nostro approccio formativo vuole fornire. Quindi se prima, nell’acquisizione di tecniche relazionali, si rimaneva seduti ad ascoltare il professore che parlava, oggi reputo che l’apprendimento si giochi su una maggiore interazione e un’abitudine ad avere più stimoli e ad essere portati al fare più che all’ascoltare e, aggiungo, purtroppo al pensare. Per questo il progetto Kósmos sposta l’attenzione su una formazione circolare rivolta a quegli attori che sono essenziali nel mercato cosmetico per la costruzione di soluzioni di bellezza che facciano la differenza, generando in conseguenza un’ampiezza di visione e di pensiero oggi più che mai utile.

Ed è in questa ambivalenza di senso della parola che emerge la portata stessa del progetto Kósmos. Da una parte il punto di attenzione dell’intervento, la formazione attraverso cui dare forma ad azioni differenti nella comunicazione cosmetica, ove con cosmetica si intenda proprio l’arte dell’apparire e quindi la costruzione dell’immagine che una persona offre di sé. Dall’altra, invece, il risultato dell’intervento, vale a dire elevare l’abilità degli addetti ai lavori di costruire soluzioni di bellezza divergenti dalla comoda omologazione ai trend e alle mode. Quindi, da esperto di cosmetica quale tu sei, e molto di più aggiungerei, quali sono dal tuo punto di vista Amedeo le disfunzioni delle soluzioni attualmente proposte proprio nell’ambito della costruzione della propria immagine? 

Per rispondere, faccio una premessa sulla figura del venditore o venditrice o, sarebbe più appropriato, consulente. In tal senso, dal mio punto di vista, ci sono due problemi. Il primo che riguarda le persone del settore più mature che si sono formate alla vendita in un periodo in cui vendere era facile e che, quindi, hanno assunto dei meccanismi che oggi funzionano relativamente. Dall’altra invece ci sono le persone molto giovani che dovrebbero condurre la cliente a soluzioni di bellezza personalizzate, ma che hanno avuto scarsamente formazione in questo senso per assenza di figure di riferimento che insegnano il mestiere.

E la conseguenza, in soldoni, è che si costruiscono percorsi di formazione con il pilota automatico. Per intenderci quelli con la formula magica in tasca, del tipo “fai così e cosà e vedrai che venderai in men che non si dica!” Peccato però che la formula magica non esiste.   

Forse la formula magica esisteva un tempo, ma oggi è svanita nel suo effetto magico. Prima la modalità di acquisto era una, andavo in negozio e compravo. Oggi invece la modalità di acquisto si è quintuplicata e passa dal negozio, alla tv fino all’e-commerce. Senza dimenticare che la consumatrice, proprio per l’accesso diretto all’acquisto, ha sviluppato la certezza di una conoscenza assoluta, più di chi dovrebbe avere e, quindi, utilizzare gli strumenti per guidarla in quella conoscenza. Peccato che per sapere quello che non si sa, bisogna sapere e solo a quel punto si arriva a comprendere quello che in realtà non si sa. Quindi il copione che il consulente si trova spesso a gestire è quello di una consumatrice che arriva in negozio sentendosi più esperta di chi dovrebbe dare il consiglio. È inevitabile che questo comportamento richieda una preparazione ancora più elevata e specifica da parte di chi vende ma non solo. Infatti penso che il primo passo per un consulente sia uscire dalla sua confort zone, applicando comportamenti differenti che producono soluzioni diverse, non solo migliori, ma paradossalmente anche più semplici per lui e per la consumatrice finale.

Anche perché, Amedeo correggimi se sbaglio, cadendo nel gioco delle parti, in cui il consulente venderà alla cliente tutto quello che vuole indipendentemente dal fatto che sia il prodotto più funzionale al suo specifico problema, è vero che si abbassa il rischio minore di non finalizzare immediatamente la vendita, ma se ne corre uno più grande, ovvero offrire una soluzione che soluzione non è, perché potrebbe rivelarsi successivamente inadeguata. 

Esatto. E infatti potrebbe succedere che la cliente vada a casa contenta di aver ottenuto quello che voleva, ma poi usando la soluzione si renderà conto che il prodotto non era quello per lei più adeguato e, in conseguenza, si sentirà tradita e il pensiero più o meno sarà il seguente: “se io devo andare” ad esempio “in profumeria per acquistare un prodotto sbagliato pagandolo per giunta 10 e non raggiungendo il risultato, allora vado al supermercato e, anche se sbaglierò, lo avrò al massimo pagato 3.”

Rimaniamo su questo esempio della profumeria, così mettiamo a fuoco anche il senso del fare consulenza che spesso, nell’ambito dell’immagine, viene erroneamente confuso con il fare vendita.  

La consulenza dovrebbe partire da una conoscenza approfondita del settore nel quale si lavora, in questo caso la cosmetica nelle sue tante sfaccettature, per arrivare a costruire la soluzione più funzionale allo specifico problema della consumatrice. Quindi facendo un esempio riportato in un caso che conosco molto bene, la vendita è: vendo un altro fondotinta perché la cliente dichiara che non è più soddisfatta. La consulenza è comprendere il problema, perché magari non è il fondotinta ad essere inadeguato, ma la crema sotto il fondotinta che non porterà mai al risultato voluto. Il consulente lavora sul processo.      

Ma invece di indagare come funziona il problema, vengono applicati sbrigativi escamotage di vendita che poco hanno a che fare con la consulenza di immagine e che, nella maggior parte dei casi, risultano fallimentari.    

Sono fallimentari perché sono soluzioni calate dall’alto e per questo standardizzate oltre che sbrigative. Le famose tecniche di vendita non indagano il problema e quindi non lo risolvono. E infatti i famosi espertologi della vendita direbbero a chi dovrebbe apprendere l’arte della consulenza di cambiare il fondotinta e di fare una vendita aggiuntiva con un primer che ne migliora la tenuta e l’effetto finale. Ma così non avrò fatto altro che dare l’illusione alla consumatrice finale che con quel prodotto aggiuntivo la soluzione sia ancor più a portata di mano, ma a portata di mano sarà la delusione per un effetto che non sarà quello desiderato. Mentre chi come noi facilita la consulenza nella costruzione della bellezza, mira a fornire strumenti che oltre alla specifica conoscenza dei prodotti consenta di acquisire la competenza per indagare il processo della cliente da quando, rimanendo sull’esempio, deterge la pelle fino ad arrivare all’applicazione del fondotinta per trovare il tallone d’Achille da cui costruire la specifica soluzione.

Quindi conoscenza della materia da una parte e competenza di processo dall’altra. Ad unire i due estremi il ponte di un’antica arte, a tratti oggi dimenticata dietro ai virtuosismi del virtualismo. Mi sto riferendo all’abilità della relazione che, dobbiamo ammettere, in alcuni casi viene utilizzata in maniera un po’ bizzarra. Ad esempio quando, forti del sapere dove potrebbe essere il problema, insistiamo e persistiamo a convincere la cliente del nostro punto di vista. E così, invece di accompagnarla a scoprire con noi la soluzione, la spingiamo con una certa solerzia dove reputiamo più opportuno arrivi, senza renderci conto che, nostro malgrado, indispettita dalla spintarella del nostro convincimento, l’abbiamo condotta dritta dritta a chiuderci in faccia la porta della fiducia, oltre che il suo portafogli. Niente male direi, ma del resto la relazione non è improvvisazione sprovvista di competenza e conoscenza, né tantomeno rigidità metodologica che porta alla costruzione di soluzioni fallimentari, bensì un processo di scoperta che conduce entrambe le parti a costruire soluzioni differenti.  

Io sono poco per le regole di vendita, ma una non posso fare a meno di venerarla e dice: “ognuno di noi ama acquistare, ma ognuno di noi detesta che gli venga venduto qualcosa”. Saper costruire relazioni durature implica il saper creare un clima di fiducia che conduca la stessa cliente a investire nuovamente il suo tempo per tornare in negozio da te.

Che poi, general generalizzando, questo è il problema che si manifesta non solo nell’ambito della profumeria, che prima abbiamo usato come esempio, ma in molti altri settori che con la costruzione della bellezza hanno a che fare. Pensiamo all’estetica, alla moda, nelle sue tante declinazioni dell’abito e degli accessori, fino all’hair styling. Proprio riferendoci a quest’ultimo campo, gli esempi sarebbero infiniti. Basti pensare alla cliente che ti arriva in salone con il santino in mano chiedendoti di farle proprio quel dato colore ritratto nella foto. E il parrucchiere, nonostante i tanti metodi di consulenza in dotazione, convinto di risparmiare tempo da una parte e inabile alla gestione della relazione dall’altra, ti fa viola come tu chiedi con il risultato che immaginarsi viola è ben diverso dal vedersi poi con la sfumatura in testa. Ed ecco avanzare il danno peggiore. Perché se la cliente non sarà soddisfatta, la responsabilità non sarà del primo mal capitato che attraversa la strada, bensì di chi ha eseguito quell’incauto colore.    

Ovvio, perché il viola non sarà mai proprio quello che diceva la cliente, ma una sfumatura leggermente differente. Ma anche nella moda ci sono tantissimi esempi alla portata di tutti. Quando vediamo un abito in vetrina, alla fine ci sentiamo tutti Claudia Schiffer con la differenza che magari rispetto a lei abbiamo altri punti da valorizzare e, quindi, dobbiamo optare per linee e colori che vanno proprio in tale direzione. Ma la commessa un po’ maldestra, invece che avere fiducia nelle proprie abilità di relazione, si lascia surclassare dalle convinzioni della cliente al punto da essere condotta, più che guidare, verso la non soluzione.

Ed eccoci quindi al punto. Riflettendo su tutti questi fattori, che sono poi alla base di come funziona il problema oggi nella costruzione di proposte di immagini le quali alimentano l’inganno dell’essere alla moda per essere in voga, da buoni progettisti della comunicazione abbiamo deciso di sviluppare Kósmos, un progetto di facilitazione che ci consenta di affiancare gli attori chiave del mercato cosmetico. Da una parte chi agisce la relazione in maniera più diretta facendo consulenza, ovvero il collaboratore o la collaboratrice. Dall’altra chi a monte genera la relazione, ovvero il titolare o, nella maggior parte dei casi, il manager del negozio, che per primo deve saper costruire relazioni efficaci ed efficienti con il mercato anche attraverso strategie di differenziazione che definiscano l’identità del negozio, sostenuta poi dai suoi stessi collaboratori nella relazione con la cliente.

Questo è un passaggio fondamentale, perché chi agisce deve sapere cosa e come agire, ma chi gestisce chi agisce deve anche sapere che certe azioni sono necessarie per raggiungere quel dato obiettivo. Quindi riuscendo a lavorare, come nel nostro caso, con entrambi gli attori, collaboratore-titolare, si consente una crescita sinergica e circolare di un’impresa-negozio che opera nella bellezza.

Certamente, perché nella nostra officina della cosmetica, non miriamo a dare la soluzione a portata di mano per ogni occasione, ma aiutiamo sia il manager che il collaboratore a prendere in considerazione differenti variabili, per far sì che siano loro abili costruttori di strategie relazionali che variano al variare delle situazioni che si troveranno ad affrontare. In ultima analisi l’operare in maniera sistemica, facilita l’emersione del famoso differenziale di cui parlavamo prima: differenza di proposizione sul mercato cosmetico, ma anche differenza nella soluzione di bellezza proposta. E in questo gioco di tandem formativo, qual è per entrambe le parti il risultato?

Direi per entrambi la gratificazione della propria attività. Attività imprenditoriale più proficua nel caso del titolare, che non si traduce solo nel fare cassa, perché se i guadagni aumentano si può anche investire in attività che la migliorino. Da parte del collaboratore, la maggiore gratificazione si manifesta invece in relazioni più solide con la consumatrice, ma soprattutto nel rendere più fluide le dinamiche del proprio lavoro. Perché, per quanto possa sembrare strano, affrontare con maggiore personalizzazione la vendita anche di un semplice prodotto, si traduce in tempo investito nel togliere i granelli di sabbia dagli ingranaggi, ovvero eliminare la mancanza di fiducia della cliente verso un venditore che, magari in passato, ha dimostrato di peccare di conoscenza, di non masticare competenza e, quindi, di essere inabile a costruire soluzioni personalizzate.   

Dopo tutto questo chiacchierare del nostro progetto Kósmos, l’officina della cosmetica, torniamo al punto iniziale, “la bellezza ci aiuterà a salvare il mondo?”

Se la bellezza sia un’opinione o un fatto ancora non è chiaro. Sull’antico dilemma “se è bello quel che è bello o se è bello quel che piace” la filosofia non è ancora riuscita a darci una risposta inequivocabile. Ma direi che la bellezza è comunque armonia, non nel senso di perfezione, ma di sintonia. Quindi, se parliamo di bellezza estetica, non so se salverà il mondo, tuttavia, come dicevo in apertura, meglio non farsi trovare impreparati. Se invece parliamo di bellezza in senso lato, reputo che il rispetto sia il modo migliore per abbattere i muri dell’indifferenza e della discriminazione. Basti pensare a tutte quelle volte che non veniamo rispettati in negozio come consumatori o discriminati come persone, perché in apparenza l’evidenza non gioca a nostro favore nella potenziale vendita. Quindi, in questo senso, credo di poter dire che la bellezza salverà il mondo.

Graphics: Liw Volpini