blinkmakers

L’arte dell’interazione

La prima storia che abbiamo deciso di raccontarvi, non a caso, appartiene alla nostra esperienza. Del resto s’inizia sempre da ciò che si conosce, non per semplice piacere, come in questo caso, ma perché se l’arte dell’incontro non può mancare a un blinkmaker, nel suo percorso professionale Michele Villotti, Amministratore Delegato di Silhouette Italia, ha dato prova di saperla interpretare abilmente, confrontandosi con settori e culture differenti.

Lo abbiamo intervistato perché in Silhouette ha portato tale arte sul campo dell’interazione col mercato, guidando l’azienda nella costruzione di un paradigma di comunicazione in grado di negoziare le due realtà: brand e consumatore.

Qual è stata l’occasione del tuo incontro con Silhouette?

Ci conoscevamo in realtà da tempo, avendo io operato per anni nel mondo dell’occhialeria. Nel 2012 l’azienda aveva definito nuovi obiettivi, volti a riposizionare il prodotto e il servizio sul mercato e, internamente, a una revisione strategica dell’organizzazione. Tale secondo aspetto per l’Italia aveva una certa rilevanza e richiedeva un’attenzione particolare. Sono stato scelto per guidare la realtà italiana al raggiungimento di tali obiettivi e sapevo di poter fondare la mia azione su un’eccellenza di prodotto riconosciuta, che garantiva all’azienda una leadership di nicchia, anche se questo non ha attenuato il livello della sfida.

Puoi estrarci l’esprit di questa impresa austriaca, per intenderci la sua unicità?

Alla base della vocazione produttiva di Silhouette vi è il desiderio di rendere il design, e quindi l’occhiale, non qualcosa di meramente accessorio ovvero fine a se stesso, ma di riuscire a coniugare la funzionalità dello stesso con il bisogno di libertà dell’individuo. Quindi, la persona è al centro della nostra innovazione produttiva. Grazie a questa mission, l’azienda ha saputo conquistare una leadership nell’ambito della produzione di occhiali connotati da innovativa leggerezza, continua ricerca tecnologica e da uno stile essenziale, il che si traduce nella capacità di interpretare l’espressività unica e personale di chi lo indossa, che pertanto è libero dai condizionamenti della moda e dei trend. Da manager che ha avuto l’opportunità di confrontarsi con differenti contesti aziendali, desidero sottolineare inoltre che questa azienda ha una sua peculiarità anche nel cosiddetto sistema di governance, che le consente di mantenere il focus sulla crescita del valore aziendale. Potremmo dire, infatti, che si tratta di una multinazionale a misura d’uomo, dove la famiglia d’imprenditori riconosce il valore di portare avanti un sistema di management osmotico, nel quale gli obiettivi strategici vengono co-costruiti con i Country manager. E’ evidente che poi ognuno ha la responsabilità di implementazione nei propri territori, potendo però improntare tale implementazione nell’ottica della valorizzazione della differenza Paese, facendo così dell’orientamento al cliente una capacità di personalizzazione che non riguarda solo il prodotto, ma anche il servizio. Questo modello di gestione ci consente di sperimentare strade nuove e di partecipare delle esperienze dei diversi territori, aprendoci alla possibilità di innovare continuamente.

Cosa ha spinto questa azienda a voler imprimere l’evoluzione di cui ci hai accennato?

Anche se Silhouette poteva contare su un posizionamento ben centrato, in quel periodo il contraccolpo della crisi economica si faceva sentire anche nel mondo dell’occhialeria e in tutte le fasce, non solo in quella bassa dove si sono avute le ripercussioni più ampie, con conseguenze sensibili nella variazione dei comportamenti d’acquisto.

Occorreva quindi essere pronti a intervenire sull’interazione prodotto-servizio, sapendo che, per quanto fossimo stati capaci di innovare internamente, avremmo dovuto essere altrettanto abili nel portare tale valore al percepito dei nostri clienti.

Nello specifico, cosa hai e cosa avete fatto?

Ciò che ho fatto all’inizio è stato osservare e ascoltare. Questo mi ha permesso di calibrare l’intervento utilizzando la visione dell’innovazione propria dell’azienda per facilitare la svolta. Oggi si sente spesso parlare d’innovazione nella tradizione, e questa azienda ha una sua forte tradizione riconosciuta. Ciò che fa la differenza, però, è come realizzi l’evoluzione. Siamo riusciti a cambiare molto, rimanendo noi stessi, e lo abbiamo fatto non limitando l’intervento all’organizzazione e al prodotto, ma estendendolo anche alla brand communication, scelta che ha occasionato l’incontro con Blink. Dunque, intervenendo con movimento circolare negli ambiti dell’organizzazione, del prodotto e della comunicazione, siamo riusciti a imprimere un’evoluzione nella direzione voluta, ossia stimolare nuovi e più adeguati comportamenti di scambio tra azienda e persona. Ed è così, come mi piace dire, che la logica del brand nasce e si sviluppa dai suoi valori fondanti, insiti nel nucleo delle prestazioni in cui si sostanzia la sua promessa.

E qual è stato il ruolo che la brand communication ha giocato nel movimento circolare che ci hai descritto?

La scelta di costruire il nostro paradigma di comunicazione ha fatto sì che la brand communication diventasse parte attiva nella revisione strategica aziendale. Dalla situazione di crisi, che, come accennavo prima, ha necessariamente e profondamente revisionato i comportamenti di acquisto, abbiamo trovato l’occasione di differenziarci da tutti quei trend seduttivi che fino ad allora avevano contraddistinto i processi di costruzione della brand communication e che, in verità, poco si addicevano alla nostra filosofia, anzi rischiavano di alterarne il percepito. Abbiamo quindi scelto di assumerci il rischio di costruire un paradigma coerente alla vocazione innovativa del nostro brand e al DNA aziendale. Questa decisione ci ha consentito di facilitare interazioni fondate sulla partecipazione a valori comuni, attraverso una relazione di scambio nella costruzione di una nuova visione socio-culturale focalizzata proprio sul valore della leggerezza, insito nel nostro prodotto. In particolare, a sostegno di tale modello comunicativo, in questi 4 anni abbiamo avviato un processo di selezione che ad oggi ci ha portato a scegliere 34 Litestylers, ovvero ambassador autorevoli ed eccellenze in diversi campi di quello che abbiamo battezzato lo stile della leggerezza. Ognuno di essi, grazie alla credibilità espressiva e ad una visione della vita indipendente, ha saputo apportare in questi anni un’interpretazione assolutamente unica e differente a tale valore. Questo approccio partecipato, ha consentito di attivare anche uno scambio riflessivo con la rete e all’azienda di cavalcare l’innovazione tecnologica digitale in modo funzionale ai propri obiettivi e valori. Questa è la dimostrazione di come ciascun asset strategico possa influenzare e far muovere l’altro in una circolarità che rende il tutto più della somma delle singole parti.

E cosa mi diresti se ti chiedessi qual è stata la cifra distintiva del tuo intervento?

Al di là dei discorsi generici che si possono fare sulla leadership e senza entrare nel merito delle singole azioni, sono orgoglioso di poter vedere che oggi il valore della leggerezza proprio del prodotto è stato sviluppato nella brand communication ed ha informato di sé anche l’organizzazione aziendale e il nostro stile di dare servizio al mercato, generando relazioni di scambio costruttive.