la filosofazione
Se sei arrivato fino a qui, surfando tra le mille, anzi milioni o addirittura miliardi di possibilità che l’oceanico mondo virtuale ti offre, un motivo ci sarà.
Probabilmente avrai cliccato su un post di Facebook, che magari qualche simpatico amico avrà condiviso sul suo profilo (avrai tempo per vendicarti), et voilà! Eccoti qua. Ti si è spalancata la porta digitale del nostro blog.
Immaginiamo che sia davvero il caso ad averti condotto fino a noi. E ora?
È possibile, o probabile, che ti aspetti di capire chi siamo e cosa facciamo. Sì, insomma, dopo aver investito il tuo tempo ipermediale, vorrai capire se quello che scriviamo possa essere di qualche tuo interesse. Questo ovviamente noi ce lo auguriamo, ma dobbiamo essere molto sinceri con te, se questa è la tua aspettativa, potremmo non essere in grado di soddisfarla.
Chiariamoci, non perché soffriamo della sindrome della supercazzola (o magari anche sì, al momento non ne siamo del tutto certi), ma semplicemente perché potremmo darti della nostra realtà una versione a oggi verosimile, ma che già domani potrebbe disattendersi e contraddirsi.
Sappiamo che questo non è un bel preambolo alla nostra presentazione. Tuttavia la realtà non è che l’antitesi della verità, quindi si può solo tendere a una veridicità che includa in sé diverse realtà.
Ok, con questa marzullata abbiamo cercato di anticipare il postulato fondamentale della nostra filosofAzione, ovvero che “nulla è più falso di una verità assoluta, inclusa la nostra”.
Con questa frase non vogliamo negare di esistere, anzi, anche se in questo momento non ci vedi e a parlare per noi sono dei simulacri virtuali, siamo persone in carne ed ossa, e, giusto per darci un tono, per alcuni siamo anche degli esperti in diversi ambiti della comunicazione. Ma, quello che vogliamo intendere, è che noi b_linkisti, attraverso la nostra non-filosofia del b_linkismo, abbiamo l’ambizione, e forse anche la presunzione, di revisionare la realtà allenando una mentalità adattiva che si genera e si rinnova agendo.
Probabilmente ora ti stai domandando dove vogliamo arrivare. E ne avresti anche ragione.
Se hai un po’ di pazienza, proviamo ad andare avanti.
“Cogito ergo sum” diceva Cartesio quando “esprimeva la certezza e l’evidenza immediata con cui il soggetto pensante coglie la propria esistenza” (a scanso di equivoci, abbiamo preso la definizione direttamente dalla Treccani, nonostante innumerevoli pop-up equivoci cercassero di impedircelo). Di certo, però, c’è che il filosofo francese non ha avuto a che fare con tutte le attuali e, quanto mai di moda, teorie alla mystic river che ci insegnano a sospendere il pensiero, come se avessimo un telecomando in mano con cui mettere in pausa quello che ci sta passando per la testa (se qualcuno ce l’ha, ce lo dica perché domani lo compriamo su e-bay). Eppure, in tutte queste apocalittiche filosofie sull’anti-pensiero, un punto di riflessione, che sposta al momento l’ago della bilancia a sfavore di Cartesio, c’è. Ammettiamolo! Convivere con i nostri pensieri a volte può essere un bel problema, soprattutto quando diventano stagnanti o persistenti ai limiti dell’insistenza al non cambiamento, anche quando l’evidenza gioca contro ciò che pensiamo. E così il pensiero blocca l’azione o la contamina di vizi, di credenze e di profezie di cui cerchiamo costantemente conferma.
Ecco quindi che fior di professionisti intraprendono la strada del “così fan tutti” continuando a cercare il lavoro che non c’è più. Oppure grandi aziende di importanti brand esercitano la comoda arte della pirateria della comunicazione, preferendo essere follower di best practice di successo perché, avendo funzionato per altre, funzioneranno pure per loro. Oppure, vogliamo parlare di tutte quelle organizzazioni che proclamano il manifesto degli intenti alimentando al contrario il fraintendimento del non intendimento pirandelliano? E che dire del sistema arte e cultura che, chiuso nella torre d’avorio dell’incomprensibilità, attende il principe nessuno?
Insomma, potremmo andare avanti, ma per ora ci fermiamo qua.
Il punto è che deleghiamo a teorie, modelli, trend e al tanto amato mantra “è così che funziona, perché ha sempre funzionato così!” il controllo di una realtà che non può essere controllata perché imprevedibile e dove “la certezza dell’incertezza è l’unica certezza” di cui dotarsi.
Hai provato una vertigine? Comprensibile, è disarmante scoprire di avere una smisurata libertà. Possiamo aprirci al lusso di esperire, sperimentare, sbagliare per poi correggere la nostra realtà e quindi innovare. In ultima analisi possiamo agire.
Certo, non ti stiamo chiedendo un atto di fiducia, ma di osservare semplicemente quanto è avvenuto o avviene attorno a te. Se così non fosse, il mondo non ci avrebbe dato gli Steve Jobs, gli Einstein, gli Edison e tutti quelli che hanno saputo accantonare la frustrazione della loro iniziale e apparente inabilità trasformandosi in abili utilizzatori di quanto gli accadeva.
Eccoci arrivati al senso darwiniano che attribuiamo a “mentalità adattiva” (e forse l’ago della bilancia scivola un po’ verso Cartesio).
L’uomo, che sia nella forma d’individuo, gruppo, azienda e organizzazione, in quanto soggetto comunicante, non può fare a meno di pensare, ma neanche di agire (e anche la non-azione è comunque azione). E dunque che fare? Possiamo continuare a far litigare pensiero e azione, non producendo nessuna modificazione, un po’ come succede nel non-dialogo distruttivo tra destra e sinistra italiana. Oppure possiamo educarli a un confronto circolare, per cui succede che agendo sperimento nuove realtà e il pensiero per un attimo si congiunge all’esperienza modificando la propria credenza, per poi rimanere di nuovo indietro, ma acquisendo l’abilità di fare quel passo. È questo l’attimo di Nietzsche o la soglia del filosofo Sini o per usare parole nostre, quello che noi definiamo, senza alcuna interruzione di sorta, pensieragito, perché alla fine “nessuna azione è orfana di pensiero, proprio come ogni azione genera nuovo pensiero”.
E quindi il b_linkismo, non fondato su alcuna verità incontrovertibile, si traduce nell’arte di agire i propri pensieri, una filosofAzione, per l’appunto, in quanto produce il pensare attraverso il fare. Tutto diventa possibile, perché tutto è trasformazione, evoluzione ed espansione di ciò che reputavamo impossibile, ma che era solo improbabile e ora è realizzabile, nella misura in cui lo agiamo e lo sperimentiamo.
Non sembrerà bizzarro quindi il fatto che la nostra filosofAzione si costruisca strada facendo, non domandandoci, ‘popperianamente’ parlando, “cosa accadrà?” (tanto sappiamo che la vita disattende sempre ciò che ci aspettiamo) ma, come suggeriva per l’appunto il filosofo austriaco, “cosa può accadere nelle attuali circostanze?” E, in conseguenza, cosa possiamo fare nel miglior modo possibile in questa situazione?
Sappiamo che probabilmente in questo momento ti senti un po’ portato a spasso tra le parole e che vorresti meritatamente avere una risposta alla tua domanda: “ma in questo blog di cosa parlate?” Ci stiamo arrivando (il passo è breve), sempre che tu non abbia interrotto la lettura, ma allora non sarebbe più un problema perché ti saresti comunque assunto la responsabilità di scegliere di non sapere. E questa è una grande conquista.
Torniamo a noi e al nostro b_linkismo che, guarda caso, trova le proprie fondamenta riflessive nel significato della parola blink (è così che si chiama la nostra officina della comunicazione) che letteralmente vuol dire “osservare strizzando gli occhi”, proprio come facevano i cinici quando cercavano l’imperfezione guidati solo da una fioca luce nei bui anfratti della terra. Ma, al contrario dei cinici, noi b_linkisti, non avendo l’ambizione di nientificare la realtà (geniale Karl Popper che, alla soglia di 90 anni, utilizzò il termine nientificatore riferendosi a Heidegger) o di contribuire all’inquinamento del linguaggio ipermediale trasformandoci in digitosofi alla ricerca di webeti eletti (un sentito ringraziamento a Enrico Mentana per la generosa condivisione con il mondo virtuale del visionario neologismo), abbiamo ribassato le nostre ambizioni e abbracciato una visione errante. Il nostro intento è letteralmente cercare la perfezione dell’imperfezione. Osservare la realtà che avviene per indagarla, aprendo la possibilità a nuovi punti di vista, come nella sezione dei blinkmakers in cui racconteremo, confrontandoci con esse, quelle realtà che si stanno dimostrando abili costruttori di opportunità; ma anche, come avverrà nella stanza dei cinici, rovesciare la verità nel suo contrario modificando una credenza stagnante, riflettendo, a volte dissacrando, ma sempre con l’intento di de-co-costruire tutti quei fenomeni ormai demodé negli effetti, seppur sostenuti dai più come à la page.
E, non solo, perché se è vero che le parole possono indubbiamente cambiare il mondo, è altresì vero che possono anche riempire le stanze di suoni sordi se non accompagnate da azioni che abbiano il potere di spostare le pareti. E quindi noi b_linkisti, non affidandoci solo alle parole, ci occupiamo di ciò di cui molti si preoccupano e di cui pochi si occupano, l’architettura della comunicazione, operando attraverso il nostro blinkmethod (formalizzazione operativa della filosofazione), in quelli che chiamiamo sistemi deboli, perché indeboliti da risposte inadeguate ai problemi in cui perdurano.
Per cui interveniamo sulla comunicazione che non è solo comunicazione, aggiustando i processi comunicativi che non funzionano o che potrebbero funzionare in modo più adeguato, con la finalità di costruire rappresentazioni di senso funzionali e interdipendenti al contesto in cui si agisce.
Dal nostro laboratorio ricerchiamo, trasformiamo e sperimentiamo paradigmi di comunicazione strategica integrata finalizzati a far emergere il differenziale dei contesti imprenditoriali, allenando nuove modalità di saper fare impresa, e a facilitare l’interAzione oltre che lo scambio comunicativo tra il sistema-azienda e il contesto sociale, culturale ed economico, favorendo nuovi e possibili significati di realtà. E così, su questo blog potrai seguirci dalla progettazione processuale (blink to action) alla generazione di nuovi mediatori di comprensione comunicativa (empty box) alla condivisione dei risultati ottenuti (officina della comunicazione).
Del resto, come avevamo detto, siamo comunicatori, abili o inabili dipende dal punto di vista da cui ci osserverai, e ritenendo che “non possiamo non comunicare”, come autorevolmente dichiarato e provato anni or sono da Paul Watzlawick, è proprio sulla comunicazione che si può intervenire per essere progettisti di realtà più funzionalmente adeguate (o tradotto nel nostro linguaggio “opportunisticamente”) ai sistemi in cui viviamo.
La progettazione, quindi, come bussola che orienta l’evoluzione adattiva e facilita un saltus evolutivo: diventare un Homo Auctor, ovvero un sistema abile a costruire e progettare il proprio paradigma comunicativo in un contesto in cui vige il principio d’incertezza.
Se poi volessi comprendere più approfonditamente come facciamo, anche se è plausibile che tu ne abbia già abbastanza di noi, puoi scoprirlo leggendo la nostra auto-intervista in cui raccontiamo il nostro approccio, oppure, se ormai dopo aver dedicato tutto il tuo tempo a leggere questo editoriale non ne avessi più a disposizione, ti suggeriamo OdC Blink in poche parole.
Ce l’abbiamo fatta, siamo arrivati alla fine, per chi ha avuto la perseveranza di seguirci.
Se senti di non aver capito niente, è perfetto, perché vuol dire che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, che era quello in premessa, ovvero di non mentirti, dato che non era nostra intenzione raccontarti quello che ti aspettavi di sentirti dire.
Se al contrario reputi che qualcosa dentro ancora ti risuoni, meglio ancora, perché questo implica che, insieme, abbiamo raggiunto il livello due di difficoltà, ovvero l’esserci compresi più che capiti. Quindi, comunque sia andata, “game over”, abbiamo vinto in due.
C’è sempre una terza possibilità, che tu sia arrivato alla fine della lettura un po’ contrariato, quasi infastidito. È evidente che questo ci dispiacerebbe un po’. Ma, se così fosse, c’è un’ultima domanda che ti vogliamo fare: “come mai hai continuato a leggere qualcosa che t’infastidiva?”