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Il coraggio di rinascere
Abbiamo cercato l’incontro con Enzo Muscia perché la sua è una storia che va raccontata, anche se non vuole che diventi solo una bella storia, il suo obiettivo infatti è dare futuro alla sua impresa. Oggi è il fondatore di A Novo Italia Srl, ma tra la fine del 2011 e il 2012 ha fronteggiato da dipendente la decisione della Casa Madre straniera di chiudere la filiale italiana. Non si è arreso, non ha preso la via più facile, ha rischiato tutto ciò che aveva e ha scelto di provare a ricominciare, osando il passo verso l’incerto, come un blinkmaker sa fare.
Nell’ascoltarlo raccontare lo svolgimento dei fatti, mi sono risuonate in mente le famose parole dell’allenatore interpretato da Al Pacino in Ogni maledetta domenica, per il parallelo tra lo “scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta” e la descrizione del lavoro portato avanti per aggiudicarsi nuovi accordi e poter firmare assunzioni per i colleghi che avevano perso il lavoro, un contratto dopo l’altro. Quando acquistiamo un prodotto o un servizio, quando facciamo scelte nel nostro lavoro, diamo anche forza ad un paradigma imprenditoriale. Facendo conoscere questa storia ve ne proponiamo uno che merita di essere scelto e che si colloca nel solco della migliore tradizione imprenditoriale nostrana, dedita alla generazione di valore per portare lavoro e prosperità alla propria comunità.
Qual è stato il tuo percorso in Anovo Italia SpA, la filiale italiana del Gruppo francese?
Sono entrato nell’azienda 26 anni fa come tecnico elettronico e ho avuto e colto l’opportunità di crescere internamente, fino a diventare il Direttore Commerciale di questa filiale, che si occupa di assistenza post-vendita di prodotti elettronici in garanzia. I nostri clienti sono dunque le aziende produttrici di tali prodotti e noi gestiamo gli interventi in garanzia per il territorio italiano, aggiustando la difettosità di prodotto nella sede di Saronno, in provincia di Varese.
Cosa accade nel 2011?
Nel novembre 2011 la Direzione Generale ci informa che è in corso una ristrutturazione a livello Corporate, in conseguenza della quale viene dichiarato il fallimento di 2 delle 13 filiali, quella italiana e quella svevo-norvegese. Per noi è una doccia fredda. L’azienda è sana, produce utile ed è in costante crescita dal 2000, eppure 320 persone si trovano dall’oggi al domani in cassa integrazione. Siamo increduli. Dichiarando il fallimento della filiale italiana la Casa Madre cancella il debito che aveva con la filiale stessa e non c’è alcuna legge internazionale che ci possa tutelare da tale condizione. Comunque, la situazione passa alla gestione del curatore fallimentare che convoca alcuni di noi per fare le valutazioni del caso. Si rende conto che l’azienda non è morta, che il lavoro ci sarebbe. Ci propone, quindi, di costituire una Srl e fare un affitto di ramo d’azienda per le attività che sarei riuscito a recuperare. Sostanzialmente, mi propone di mantenere accesa la fiammella dell’attività nel frattempo che lui portava avanti la procedura di fallimento e valutava l’opportunità di trovare degli acquirenti disposti a ricapitalizzare l’azienda. Così ho fatto il giro dei clienti e son riuscito ad ottenere alcuni accordi che mi hanno consentito di far rientrare dalla cassa integrazione 20 di noi. Non è stato facile, ho dovuto fare delle scelte, potevo far riprendere solo 20 persone su 320. L’opportunità della Srl era per 12 mesi, ma era la nostra occasione per provare a non perdere tutto.
Com’è andata questa prova?
Bene e male. Bene perché i clienti ci hanno dato fiducia, abbiamo lavorato molto e sinergicamente, abbiamo pagato l’affitto di ramo d’azienda e chiuso il bilancio in utile. Eppure, tutto ciò non era ancora abbastanza. Non si erano fatti avanti acquirenti con proposte congrue e, quindi, il fallimento doveva esser portato a conclusione. Siamo stati messi nuovamente in cassa integrazione. Un’altra doccia fredda. Un’altra volta i nostri risultati non ci preservavano dalla perdita del lavoro.
Sappiamo che poi l’azienda è rinata da quelle ceneri. Come avete fatto?
Non riuscivo a convincermi che non ci fosse più nulla da fare. Non è che non avessi alternative, anzi, avevo anche ricevuto alcune proposte. Avrei potuto prenderne una, voltare pagina e lasciarmi alle spalle questa storia. Eppure guardavo gli uffici vuoti, le attrezzature inutilizzate, pensavo ai clienti che ci avrebbero riconfermato gli accordi e ai colleghi che non riuscivano a ricollocarsi. Doveva esserci una possibilità. Ho cominciato a chiedermi cosa avrei potuto fare e mi dicevo che sarebbe stato bello se avessi potuto prenderla io. In quell’ultimo anno di prova avevo visto che ce la potevamo fare. Così ho valutato cosa mi sarebbe servito. Più pensavo a quanto sarebbe servito per acquistare, oltre all’azienda, anche le attrezzature, o per pagare stipendi e contributi e più, nonostante le cifre, cominciavo a credere che avrei potuto provarci. Così ho presentato i business plan alle banche, ma nessuna mi ha dato fiducia, nonostante il rischio basso. Se almeno una mi avesse approvato l’investimento, questo avrebbe consentito all’impresa di nascere in modo meno faticoso. Quindi mi rimaneva solo la strada del prestito personale. In accordo con la mia famiglia ho ipotecato la casa e messo in azienda la liquidazione e tutto ciò che avevo. Non fu incoscienza perché sapevo bene quello che stavo facendo, comunque fu un salto nel vuoto anche se vedevo la sponda dall’altra parte. Il curatore fallimentare accettò di cedermi l’azienda e io sono ripartito andando dai clienti a cercare di chiudere accordi per ricominciare. Sono riuscito ad avere la fiducia di alcuni, ho potuto richiamare i primi 8 ex-colleghi e da lì siamo ripartiti, ricominciando dalle ceneri della precedente storia e segnando una distanza a partire dal nome, racchiusa in quello spazio creato nel nuovo nome: nasceva la A Novo Italia Srl.
Cosa hanno detto le 8 persone quando le hai chiamate per offrir loro quella nuova opportunità?
Erano tra il contento e l’incredulo. Avevano alle spalle una doppia delusione: la prima, quella della chiusura della filiale nonostante l’azienda andasse bene, e la seconda, quella del tentativo nel quale si erano impegnati ma poi, nonostante i risultati positivi, erano stati comunque posti in cassa integrazione. Per cui erano contenti dell’opportunità di lavorare, ma si chiedevano se sarebbe durata. Sapevano, d’altra parte, che io mi ero giocato tutto per questa opportunità e che li avevo scelti per le loro competenze. In breve il gruppo di lavoro è diventato una squadra.
Ecco, attraversando l’azienda non ho visto i valori scritti sulle pareti, ma li ho percepiti nei modi. Si vede che siete una squadra, che le persone sanno quali risultati occorre raggiungere.
Eravamo e siamo sulla stessa barca, affrontiamo insieme ostacoli e successi, sappiamo che se lavoriamo bene, possiamo ottenere nuovi accordi e crescere. Dagli 8 iniziali abbiamo raggiunto il traguardo di più del 10% di quanti eravamo e continuiamo a costruire per crescere. Tutti si impegnano per dare il massimo. L’aver potuto dar loro un’altra chance ha sicuramente influito su come vivono l’azienda oggi. E io ho fatto tutto ciò che ero in grado di fare per ripagare costantemente la loro fiducia, dando consistenza e futuro alla rinascita dell’azienda.
A quasi 4 anni da quella scelta, se ti volti indietro e riguardi il tuo percorso, cosa ne pensi? Lo rifaresti?
Assolutamente sì, rifarei tutto, nonostante le difficoltà, la fatica, gli ostacoli. Posso affermare con un certo grado di certezza che sarebbe stato più facile, non solo meno rischioso, se avessi voltato pagina allora, ma non farei cambio.
La tua storia è salita agli onori delle cronache. Non solo, hai recentemente ricevuto dal Presidente Mattarella l’Onorificenza al Merito della Repubblica Italiana. Sarai soddisfatto di ciò che hai realizzato.
Tutti i giorni lavoro con la passione di chi fa ciò che vuole fare, ma vorrei che la nostra non fosse solo una bella storia da raccontare. Ciò che mi preme è dare un futuro a questa storia, quindi trovare chi ci dia fiducia per poter continuare a crescere e poter offrire un contratto di lavoro ad altri miei ex-colleghi. Solo questo dà un senso a ciò che ho fatto fin qui, all’interesse che questa storia riscuote e anche a questo recente premio che dedico alla mia squadra, perché è stato assegnato a me ma lo abbiamo meritato insieme.