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Giro, girotondo, tutti “su” per terra!

Chi fa da sé, fa per tre”, recita un vecchio detto popolare. E a quanto pare conoscono bene quest’adagio quelle persone che popolano un Centro Italia in cui, per usare le parole dei nostri amici marchigiani del Degrado Post Mezzadrile, si sono susseguite “in pochi mesi…più sciagure del Nebraska”.

Già perché la terra in questi mesi non solo ha continuato a tremare ma, mentre noi eravamo baciati da un bizzarro sole invernale, al sisma si è aggiunta una delle peggiori nevicate degli ultimi decenni che ha portato via con sé vite, sogni e ogni apparente possibilità di ripresa. Elettricità, acqua e riscaldamento forniti con il contagocce. Un’economia artigiana e agricola spezzata nella sua vitalità. Finanziamenti che si sono arenati in qualche imprecisata spiaggia burocratica. Sfollati sulle coste che si ritrovano ora evacuati dalle coste per far spazio a un turismo le cui previsioni richiederebbero un intervento divino. Eppure chi è là non attende che la misericordia scenda dal cielo né tanto meno che la promessa di ricostruzione diventi un fatto più che un’intenzione. Ma esperti, loro malgrado, di un problema che hanno vissuto sulla loro pelle, sanno che parlare di ricostruzione non vuol dire, parafrasando il Presidente del Governo Paolo Gentiloni, “sperare di fare un buon lavoro sulla ricostruzione”. Perché del resto, sebbene le parole abbiano sempre buone premesse, la speranza non è tattica di fronte ad eventi naturali che richiedono lungimiranza e velocità d’azione. Piuttosto significa avere molto chiaro quali siano i problemi inerenti a tali eventi e agire soluzioni che possano costruire nuove visioni di vivere in una terra tanto fragile quanto ricca di sapienza. Ed è proprio questa una delle storie che vogliamo raccontarvi. Una di quelle storie lontane dai riflettori mediatici che avviene nel silenzio dell’opinione pubblica e che vede protagonisti alcuni eroi che hanno saputo posare i loro sguardi là dove andavano posati. Perché, di fronte a tutto quello che è avvenuto, c’è un rischio più grande, ed è proprio quello di escludere dalla ricostruzione l’identità ferita degli incolpevoli bambini che quei tragici eventi li hanno vissuti al pari degli adulti, ma con l’aggravante di essere bambini. E così parte una splendida e non per questo meno faticosa avventura che prende il nome di TUTTI SU PER TERRA. Un progetto che nasce in una delle città marchigiane più colpite dal sisma, Tolentino, e che nel giro di un tempo molto breve, superando la diffidenza locale, bypassando il carrozzone burocratico e conquistando gli animi degli alleati che contano, diventa realtà. Il resto di questa storia lo lasciamo alle parole di Elisabetta Onori, amica d’infanzia ma soprattutto uno di quegli audaci sguardi che ha compreso che per ricostruire bisogna saper guardare negli occhi il nostro futuro.

 

Com’è nata l’idea del progetto TUTTI SU PER TERRA?

Lo stimolo è nato una sera a cena chiacchierando con la mia amica, mediatrice familiare, Sara Laguni. In seguito, guardando mia figlia ho compreso che i bambini erano i veri grandi esclusi di tutta la fase del post terremoto. Non andando a scuola, per ovvi motivi pratici, ed essendo costantemente in compagnia degli adulti che parlavano tra di loro dei disagi da affrontare, vivevano e osservavano il quotidiano in maniera passiva assorbendo tutto il carico che ne derivava. Poi, una volta tornati all’apparente normalità scolastica, l’istituzione si è posta la priorità, se vuoi anche giustamente, di far riprendere loro la didattica per evitare che perdessero l’anno. In quel momento ho compreso che non si stava dando ai bambini l’opportunità di tirar fuori il proprio vissuto emotivo rispetto agli eventi che li avevano visti, loro malgrado, protagonisti inconsapevoli. Così dopo un iniziale spaesamento, in cui avrei voluto fare qualcosa, ma non sapevo bene cosa, confrontandomi di nuovo con Sara, si è concretizzata l’idea di poter intervenire nelle scuole affrontando più o meno direttamente con i bambini e i ragazzi l’argomento, ma soprattutto cercando di facilitare un confronto tra loro e quindi tra pari. Da lì è partito tutto. Ho contattato alcune persone con cui avevo rapporti d’amicizia e stima professionale, quali l’arte-terapista, Martina Basconi, che ha avuto subito chiaro quello che andava fatto, la musicoterapista Francesca Nobili e ad altre due insegnati di yoga, Emilia Presciuttini e Ilenia Cinquantini oltre me, come pure sul fronte della psicoterapia, oltre a Sara e Veronica Verolini, altri operatori e operatrici di settore. Ora siamo circa 15 operatori coinvolti, più tantissimi altri professionisti come fotografi, videomaker, commercialisti e realtà differenti che in maniera diversa stanno collaborando e sostenendo il progetto. In un paio di riunioni molto fitte abbiamo messo a fuoco che il progetto andava diversificato e quindi per le medie avremmo avviato uno sportello d’ascolto, mentre per le primarie il percorso sarebbe stato centrato sull’elaborazione post traumatica delle emozioni e sensazioni intrecciando corpo, musica e arte. L’arte-terapia, grazie alla manipolazione della terra e dell’argilla, avrebbe permesso di lavorare con i bambini a livello metaforico, lo yoga avrebbe invece facilitato l’emersione dell’emotività dei piccoli attraverso il vissuto del corpo e infine la musica avrebbe dato voce all’immediatezza del “sentire” e dell’esprimere senza mediazioni razionali.

photo credits: Manuel Josè Rossi

Qual è la struttura del percorso?

Il progetto è rivolto ad un totale di 700 alunni. Oltre alle 13 classi di scuola media inferiore per cui è attivo lo sportello d’ascolto di 2 ore a settimana che sta funzionando molto bene, sono coinvolte anche 22 classi della scuola elementare Don Bosco di Tolentino, dalla prima alla quinta. Ogni classe della primaria partecipa a 10 ore di laboratorio divise in 8 incontri in cui si intersecano arte, musica e yoga, portando i bambini ad un livello esperienziale molto profondo ma altrettanto pratico. La partenza è stata la distruzione che nel laboratorio di arte si è fatta esperire ai bambini attraverso la manipolazione dell’argilla secca resa polvere. Mentre nel laboratorio di yoga si è partiti dal lavoro sul radicamento e quindi sul rapporto con la terra, nostro sostegno essenziale, cui è seguito l’incontro sul coraggio e lo scioglimento della paura come motore di superamento e di forza. Nel laboratorio di musica si sta invece lavorando sulla generazione degli elementi sonori del terremoto che da caotici pian piano tenderanno alla creazione di una melodia. Ogni disciplina tende infatti alla ri-creazione di un nuovo ordine, di una nuova armonia. La finalità del processo è quella di condurre i bambini alla fase di arrivo del percorso che coincide con la ricostruzione. Questo sarà il momento in cui, nel laboratorio di arte, saranno creati e colorati dei mattoni e dei tessuti sui quali saranno apposte dai bambini delle impronte che, nell’ensemble finale di yoga e musica, attraverso l’assemblaggio di un’opera d’arte condivisa, permetterà la realizzazione di una casa sonora di circa 1,5x2mt.

Quindi l’obiettivo finale è la costruzione di un’opera che diventerà pubblica?

Diciamo che l’obiettivo finale è il pretesto per coinvolgere i bambini nella costruzione di un simbolo tangibile di quanto è successo ma anche della capacità dell’uomo di ricostruire. E infatti questa casa sonora passa proprio da fattori disarmonici, come il rumore e il frastuono della distruzione, ad elementi armonici di partecipazione. Ora dobbiamo solo capire dove sarà posizionata l’opera, anche perché il progetto si concluderà a giugno e quindi è essenziale individuare il luogo fisico adeguato in cui ubicarla, a fronte del fatto che attualmente le nostre strutture museali sono quasi tutte inagibili ad eccezione del Castello Della Rancia, che a quanto pare a breve riaprirà. La scelta dello spazio dipenderà anche dal Comune, che, in questa fase, sarà attore fondamentale del progetto e che fino ad ora, anche per velocizzare tutto, abbiamo praticamente bypassato. Comunque entro il 6 giugno l’opera sarà conclusa e ci piacerebbe fosse fruibile da tutta la comunità, in primis proprio dai bambini che l’hanno realizzata.

photo credits: Manuel Josè Rossi

Com’è stato accolto dalla comunità il vostro progetto?

Mettiamola così, in queste situazioni è necessario partire dal presupposto che ciò che non si comprende crea diffidenza. E come è naturale che sia, anche questo progetto ha creato qualche resistenza. Il rischio era che non se ne comprendesse l’essenziale praticità rispetto al problema su cui si voleva intervenire e che venisse confuso con qualcosa di assolutamente etereo. Ma noi siamo partiti come dei treni sapendo dove volevamo arrivare, anche se non sapevamo bene come. Abbiamo cercato di essere collaborativi con tutti, accogliendo qualsiasi tipo di perplessità. In alcuni casi abbiamo scelto la strada della velocità e quindi, come dicevo prima, abbiamo evitato di imbatterci nella burocrazia comunale, preferendo utilizzare una relazione diretta con la Preside della scuola che, fortunatamente, ha intuito il potenziale dell’iniziativa ed ha detto subito “sì lo facciamo.” Certo da lì in avanti non è stato tutto facile. Anche perché è da mettere in risalto che il corpo docente si trovava da una parte a recuperare una didattica già ampiamente in ritardo per gli eventi naturali e dall’altra noi ci inserivamo in altri progetti pregressi. È quindi comprensibile che alcuni fossero contrari ad avviare quest’iniziativa. Tuttavia sembrerebbe dai rumors che l’attività stia piacendo anche alle insegnanti che sono costantemente partecipi delle varie fasi. Forse ora che tutto è partito si stanno rendendo conto che il progetto ha una funzionalità profonda rispetto all’obiettivo che ci eravamo posti.

E invece quali sono i feedback dei genitori?

Anche in questo caso vale un po’ il discorso che facevo prima sull’iniziale diffidenza in relazione alla mancata conoscenza di alcune discipline. Noi però non ci arrendiamo, anzi per primi chiediamo ai genitori dei feedback che ci consentano di monitorare il lavoro svolto. E i pochi che si sono fatti avanti hanno espresso un grandissimo entusiasmo. Comunque credo che chi era partito con dei preconcetti, qualora anche si accorgesse che erano infondati, non ci dirà nulla. Ma va bene così.

Resistenze a parte, chi si stanno rivelando i vostri veri alleati?

Oltre alla Preside che ha creduto subito in questo progetto, senza dubbio le fiduciarie che sono le tre figure che ci supportano e che si interfacciano con il corpo docente. Senza di loro non saremmo mai riusciti in questa impresa. Basta considerare che per poter semplicemente stilare gli orari, che devono necessariamente prendere in considerazione le esigenze di tutti, intercorrono anche cinque o sei telefonate e se non avessimo avuto la loro più totale disponibilità, non so proprio come avremmo fatto. Ma la vera scoperta sono stati i bidelli, assolutamente collaborativi. Puliscono le aule senza batter ciglio, ci aiutano a trasportare il materiale. Sono dei veri angeli.

Veniamo ai veri piccoli eroi di tutta la vostra impresa titanica. I bambini come reagiscono a questa opportunità?

I bambini in tutto questo sono sorprendenti. È un’opportunità enorme poter lavorare con loro e anche se, come ho spiegato prima, l’iter è molto complesso, ogni fatica è ripagata dal loro bellissimo feedback. Quando alla fine della giornata si fa la condivisione vedi i loro occhi che si accendono e i nostri in conseguenza non possono che fare il doppio, quindi forse siamo più noi che ne godiamo che loro. I bambini sanno che quello è uno spazio sicuro in cui poter affrontare determinate questioni ed esprimere il loro vissuto emotivo come la paura, che non è negativa, tutt’altro. Molti bambini ad esempio sono passati dal dichiarare “io non ho paura di niente” a riflettere su questa emozione e a integrarla nel loro vissuto in modo più naturale. Sono assolutamente ricettivi anche quando sembra che stiano pensando ad altro e, invece, tutto a un tratto si attivano con domande, riflessioni e condivisioni. È veramente un’esperienza impagabile.

photo credits: Manuel Josè Rossi

Non vorrei farti i conti in tasca, ma tutto questo progetto come si sostiene economicamente?

Stiamo anticipando noi, nel senso che agiamo in maniera assolutamente volontaria e in auto-finanziamento. E dove non arriviamo ad anticipare ci donano. Come ad esempio i tappetini per il laboratorio di yoga ci sono stati omaggiati dal responsabile del negozio Brico che si è preso carico personalmente del costo, visto che l’autorizzazione dell’azienda non era compatibile con i nostri tempi. Mentre l’argilla ci è stata fornita dal Mattonaio di Macerata e tutto il legno necessario per il laboratorio ci è stato donato da Dorica. Per il resto interveniamo noi comprando ciò che serve e la scuola partecipa fornendoci materiale che può essere utile. Noi agiamo di pancia anche di fronte alle voci infondate che raccontano leggende su presunti sostegni economici da parte dell’istruzione locale, oppure quelle che preferiscono svalutare ciò che stiamo facendo dichiarando che la scuola ci ha scelto solo perché non costavamo nulla. Come se il non pagare qualcosa gli tolga valore. Insomma niente è facile, ma per noi l’unica cosa che conta è l’intento del progetto.

Siamo arrivati all’ultima domanda di rito. Terremoto Marche, cosa possiamo fare noi da qua per voi che siete là?

Questa è una domanda difficilissima cui non sapevo rispondere all’inizio e cui faccio difficoltà a rispondere ora. Del resto non possiamo dire “mandateci i mattoni che rifacciamo le case”. La situazione è complessa perché alla pressione psicologica si sta aggiungendo quella economica. Ad esempio qui a Tolentino sembra che tre o quattro mila persone, dopo aver perso casa e lavoro, non rientreranno più perché, potendo usufruire di alternative sulla costa, preferiscono rimanere là. Altri che magari hanno mantenuto il lavoro hanno una stanchezza cronica a causa del pendolarismo al contrario. Senza considerare tutta la gente della cosiddetta zona rossa che ora è addensata nelle strutture alberghiere della costa, ma che a breve, anche per assecondare quel poco di turismo che speriamo ci sia, dovrà andarsene non sappiamo bene dove. Insomma ci sono situazioni veramente difficili e, fintanto che il Governo non si accorda con le Banche per far partire i finanziamenti, la situazione resta bloccata. D’altro canto io credo che questi fondi debbano essere rivolti a realtà mirate che rappresentano il nostro valore locale, come le piccole aziende, gli artigiani, gli allevatori e senza dimenticare il turismo che è la nostra forza più compromessa. Tutte queste realtà possono essere il vero volano della nostra ripresa. Quindi sebbene da una parte ci sia il timore che si sia deciso a tavolino di non ricostruire alcuni luoghi troppo compromessi, dall’altra io credo che, e spero di non essere fraintesa, se bisogna ricostruire tanto per farlo, allora meglio non farlo affatto per evitare l’ennesima speculazione. D’ora in avanti ci vorrà lungimiranza, azzardo e bravi amministratori che facciano le cose secondo un criterio.

Partner: Onlus Bambini per Mano, Associazione il Cerchio D’oro, CoMusicando

Sponsor: Bricoio, Dorica Legnami, Il Mattonaio

Operatori: Francesca Abignente (musicoterapia), Martina Basconi (artista terapista), Elisabetta Catania (psicologa e specialista in psicoterapia dell’età giovanile), Ilenia Cinquantini (insegnante di yoga e yoga bimbi), Mattia Graziadei (scultore), Sara Laguni Andreini (mediatrice familiare e dottore di ricerca in psicologia sociale), Francesca Nobili (musicoterapeuta), Elisabetta Onori (insegnante yoga e yoga bimbi, bibliotecaria), Michele Poli (dottore in medicina, agopuntore, insegnante di yoga e bioenergetica), Emilia Presciuttini (insegnante yoga bimbi e grafica), Andrea Salvucci (psicologo clinico e forense, psicoterapeuta), Veronica Verolini (psicologa clinica e psicoterapeuta), Marco Isabettini (commercialista), Manuel Josè Rossi (fotografo), Alessandro Bianchi (videomaker).