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Quando una banca non fa solo la banca

Diciamo la verità, oggi quando si parla del sistema economico-finanziario si ha un senso di repulsione come se fosse l’erba gramigna che infesta tutto ciò che cresce attorno a sé. Non è un caso che, secondo una ricerca nell’ambito della “reputation”, le banche si conquistino il terzo posto come peggiore reputazione, precedute dalla politica e, udite udite, dai sindacati. E sebbene sia difficile non essere d’accordo con l’esperto di matematica finanziaria Nassim Nicholas Taleb circa “l’effetto inebetente dei numeri magici”, d’altra parte non possiamo negare che i numeri dell’economia e della finanza siano elementi portanti della nostra cultura più di quanto vorremmo augurarci. Ma di fronte all’oscurantismo finanziario che ha caratterizzato l’ultimo decennio, il rischio che si corre è di innescare una caccia alle streghe per cui si sia più impegnati a cercare fatti di accusa che omologano il sistema bancario, piuttosto che a interessarsi di dare nuovo senso ai fatti per evidenziare ciò che differenzia una banca dall’altra. Perché non tutte le banche sono uguali ed oggi più che mai, gestendo i soldi dei cittadini, hanno una responsabilità sociale da cui non possono esimersi. E proprio per questo tema di responsabilità una più di altre ha attirato la nostra attenzione. Stiamo parlando della ex BPM, un tempo conosciuta come la “banca dei milanesi”, che oggi, dopo la fusione con Banco Popolare, è il terzo colosso italiano del credito con il nome Banco BPM. Perseguendo una visione di restituzione virtuosa al territorio, a gennaio 2017 è stata avviata, sotto il timone dell’Amministratore Delegato Giuseppe Castagna, un’opera d’integrazione titanica. Un’impresa non ancora conclusa ma che si sta realizzando strada facendo, attraverso un dialogo costante con il territorio per costruire e andare “insieme verso il futuro”. Ce lo racconta Monica Provini, responsabile media relations, social e corporate identity del Gruppo, che a soli 37 anni e in un sistema a prevalenza maschile, si definisce “un animale aziendale” per quella sua vocazione a ricoprire una posizione privilegiata di ascolto e osservazione che le consente di tirar fuori il differenziale della realtà in cui agisce. Ed ecco il differenziale di Banco BPM.

Dal 1° gennaio del 2017 la Banca Popolare di Milano (BPM) si è integrata con il Banco Popolare creando una nuova identità dal nome Banco BPM. Qual è stata la strategia d’integrazione di queste due realtà e come sta procedendo?

Mi piacerebbe poterti dire che è una strategia già del tutto definita, ma non è così in quanto la nostra visione si sta costruendo strada facendo, data anche la peculiarità dell’operazione stessa che ha visto traghettare due realtà locali e popolari verso una fusione sotto forma di SPA. Lo sforzo culturale richiesto ai colleghi, che sono la vera forza motrice come in ogni realtà aziendale, è stato ed è tuttora notevole, anche per l’estrema diversità delle due banche. Da una parte BPM, fatta di circa 8.000 persone, con la sua storica immagine di “banca milanese”. E dall’altra, Banco Popolare, una realtà a sua volta nata dalla fusione di più banche, che nel suo insieme contava oltre 17mila persone ed era quindi 2 volte e mezzo la BPM la quale, dal canto suo, sebbene più piccola, aveva una visione della banca di tipo metropolitano, dato il confronto costante e continuo con una città come Milano. Il risultato è stato quindi un nuovo gruppo composto di circa 25 mila persone con culture e sfaccettature molto variegate, perché provenienti da mondi differenti e con un modo di intendere la banca diverso. Date le premesse, fin da subito il punto di attenzione nella nostra strategia, ancor prima di andarsi a raccontare all’esterno, è stato proprio quello di creare un’identità comune.

In concreto, come avete gestito questa sfida?

Per quanto riguarda la comunicazione interna, abbiamo cercato di operare su tre filoni. La prima straordinaria leva è stata la figura dell’Amministratore Delegato Giuseppe Castagna, un uomo dalle notevoli doti comunicative che è arrivato a ricoprire il suo ruolo percorrendo tutti i livelli della carriera, da impiegato di filiale fino a dirigente. Puntando proprio sulla concreta credibilità del nostro AD, nelle prime settimane dalla fusione operativa abbiamo organizzato un road show che ha toccato le 10 principali città in cui è presente il nuovo gruppo. Nelle diverse tappe, Giuseppe Castagna si è fatto veicolo della carta dei valori, chiedendo ai colleghi se vi si potevano identificare. Poi, insieme al personale della formazione, sono stati creati dei gruppi di lavoro integrati tra il personale delle due banche per la costruzione di modelli comuni, in quanto la differenza non era solo in termini di identità culturale ma anche nell’approccio organizzativo. Ora stiamo entrando in quella che potremmo chiamare la terza fase della strategia e pertanto in costruzione e verifica. Abbiamo iniziato un percorso di creazione di brand ambassador rappresentati da colleghi che, adeguatamente selezionati e formati, dovrebbero divenire portavoce dei valori aziendali prima verso l’interno e poi sul territorio verso piccoli gruppi di clienti.

Spostando invece l’attenzione verso l’esterno, come avete costruito il processo di comunicazione che potesse essere riflesso dell’integrazione interna?

Il processo di comunicazione verso l’esterno è stato costruito attorno all’obiettivo di posizionare la nuova realtà, Banco BPM, sulla specificità che l’ha resa unica, ovvero il suo legame con il territorio. Quindi, anche in questo caso possiamo dividere l’impianto strategico in due grandissimi filoni. Uno è quello che corrisponde alle attività di ufficio stampa e social media, mentre l’altro è quello degli eventi e delle sponsorizzazioni che contribuiscono a creare la vera carta di identità di un’impresa, ancor più nel sistema bancario in cui esiste un tema di responsabilità sociale da cui non ci si può esimere.

Immagino che anche in questo caso avrete dovuto fondere due visioni?

Esattamente, perché anche in questi ambiti avevamo esperienze molto diverse. Abbiamo quindi cercato di dare coerenza ad un tema così delicato procedendo nei primi tre mesi ad un lavoro di selezione delle attività, area per area e in sinergia con le persone direttamente coinvolte sul territorio. Da qui abbiamo operato delle scelte, decidendo, tra l’altro, dove posizionare sin da subito il brand della capogruppo e dove, invece accostare dapprima al marchio territoriale quello del Banco BPM, di modo da aiutare anche la clientela ad abituarsi alla trasformazione in corso. Tutto questo, chiaramente, supportato da una comunicazione media e da attività social.

Monica Provini, responsabile media relations, social e corporate identity Banco BPM

E invece come avete operato da un punto di vista di comunicazione media?

La strada che seguiamo è duplice. Mentre sui quotidiani nazionali le uniche persone autorizzate a parlare ufficialmente a nome di Banco BPM sono il Presidente e l’Amministratore Delegato, a livello locale “parlano” le singole iniziative. Mi spiego meglio: la presenza di Banco BPM nei singoli territori si manifesta attraverso le numerose attività realizzate e non attraverso il volto e il nome di singole persone.

Quindi paradossalmente, rispetto al trend di umanizzazione di tanti brand, voi avete scelto una strategia di spersonalizzazione?

Apparentemente può sembrare così, ma in realtà agiamo un altro tipo di personalizzazione. Infatti oggi, se devo personalizzare il messaggio, mi muovo attraverso i vertici aziendali, ovvero coloro che hanno fatto l’operazione e che ci aiutano per questo a posizionarla da un punto di vista di consolidamento del brand. Tutto il resto avviene attraverso le azioni della Banca da intendersi non come singola persona con cui identificarsi, ma come l’insieme di persone che l’hanno resa unica. Non è un caso che il claim dell’ex BPM “il futuro è di chi fa” sia evoluto nel claim del gruppo “insieme verso il futuro”, proprio per accentuare il concetto di collettività e di partecipazione. In questo momento una simile strategia non è funzionale solo in termini di posizionamento, ma anche di contesto. Visto che la banca può essere definita una start-up, per usare un termine inflazionato, e si sta costituendo giorno dopo giorno, deve parlare con pochi messaggi e molto chiari. Se poi in futuro l’attività interna dei brand ambassador, di cui ho parlato prima, funzionerà rispetto all’obiettivo, potremo pensare di dialogare anche attraverso le persone sui territori. Ma lo possiamo fare quando saremo sicuri di quello che siamo diventati.

Nella nuova realtà qual è il fil rouge alla base della strategia di corporate identity?

Anche se ci stiamo ancora lavorando, il nostro obiettivo è sviluppare due o tre filoni che partano proprio da quel principio di responsabilità sociale che fa già parte della nostra cultura identitaria, da declinare con interventi di natura molto diversificata. Un filone dovrebbe essere quello dei giovani, un altro quello dello sport in generale e, un terzo, quello della cultura.

Il tema dei giovani è un punto di attenzione a noi molto caro, cosa state facendo in tal senso?

Quando parlo di iniziative per i giovani intendo azioni diversificate come, ad esempio, la partecipazione al progetto alternanza scuola-lavoro, piuttosto che il sostegno a iniziative di recupero dei giovani o di formazione di ragazzi in difficoltà, così come l’impegno ad aiutarli a formarsi per entrare nel mercato del lavoro. Ricordo ad esempio la collaborazione con una società di consulenza fatta da studenti universitari degli ultimi due anni della Cattolica. In pratica i ragazzi, seppur seguiti da professori o liberi professionisti che collaborano con l’Università, si organizzano in gruppi di lavoro che vanno da chi prepara il business plan a chi fa la strategia di marketing e di comunicazione fino a chi sviluppa il sito internet. Il risvolto è duplice perché da una parte si permette ai giovani studenti di fare esperienza e dall’altra alle aziende, che non avrebbero le risorse per pagare consulenti di un certo livello, di usufruire di servizi di cui altrimenti non potrebbero avere beneficio creando, dal nostro punto di vista, un circuito virtuoso bellissimo.

Invece, negli altri ambiti, che tipo di operazioni privilegiate?

La cultura è senza dubbio un tema molto ampio, sul quale il privato in generale e le banche in particolare dovranno sempre più porsi come interlocutore privilegiato per lo sviluppo del Paese date le sempre minori risorse finanziarie a disposizione dello Stato. Nei primi due anni, l’obiettivo di Banco BPM sarà soprattutto quello di tutelare le iniziative locali più che quelle nazionali, riuscendo così a essere più vicino ai territori di pertinenza. A tal proposito abbiamo due grandissimi esempi che ci portiamo in dote e a cui tendere. Il primo, su Milano, riguarda la chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore in Corso Magenta, di cui BPM ha sostenuto il decennale restauro degli affreschi, restituendo così non solo alla città, ma all’intero Paese e alla comunità internazionale quella che viene definita la Cappella sistina del Nord Italia. Un progetto molto diverso, ma simile di principio, viene dal Banco Popolare, dove a Verona sono state interamente restaurate le chiese di San Zeno e di S. Anastasia con progetti durati parecchi anni. Insomma, in ambito culturale ricerchiamo attività che ci consentano di ridare al territorio il suo valore. Rispetto ad altri ambiti scegliamo quelle iniziative che abbiano anche un risvolto sociale. È il caso della sponsorizzazione della Rugby Milano, un circuito sportivo che ha attivo un importante progetto con il carcere di Bollate dove coach e alcuni giocatori insegnano questo sport e i suoi valori ai giovani detenuti, trasmettendo un’esperienza di vita diversa. Oppure, con il Comune di Milano, abbiamo recentemente realizzato il progetto “Mani in Pasta” in cui alcuni nostri clienti pizzaioli o panificatori si sono resi disponibili a formare una ventina di ragazzi che venivano dai centri minorili selezionati dal Comune stesso.

È questo il senso dunque di responsabilità sociale del gruppo BPM di cui parlavi prima?

Da un punto di vista comunicativo sì. Ora siamo la terza banca del Paese dietro due colossi che, com’è noto a tutti, sono Intesa Sanpaolo da una parte e Unicredit dall’altra. Ma noi non saremo mai né l’una né l’altra. Quindi, se vogliamo giocare bene le nostre carte, dovremo mantenere le nostre specificità. Proprio per questo, il nostro obiettivo è cercare sempre più un confronto con i territori che nasca dai colleghi, dai clienti, dalle Istituzioni, dagli stakeholder, arrivando a creare dei circoli virtuosi di restituzione alla comunità di riferimento.

Un tema di attualità è quello dell’educazione finanziaria. Costa state facendo a riguardo?

In tale ambito, ci stiamo impegnando molto nel sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di inserire l’educazione finanziaria come materia di studio. Esiste infatti ancora una conoscenza molto superficiale in questo ambito. Se devo cambiare l’assicurazione della macchina o il contratto del gestore telefonico mi informo, cerco, capisco. Nel caso della Banca, invece, la scelta è o ereditaria, perché vado dove i miei genitori hanno sempre avuto il conto, oppure è di tipo logistico, scelgo quella più vicina a casa. Del resto, qualsiasi banca è sempre stata uguale all’altra. Da lì la diseducazione finanziaria. Oggi invece non è più così, ci sono banche buone e cattive. E sebbene le banche non siano un istituto di beneficienza, devono sapersi assumere la propria responsabilità anche in termini di far percepire la propria concreta differenza in termini di capacità di intervenire a sostegno del sistema.

Rimaniamo sul tema della responsabilità sociale. Sei su una torre con soldi, idee e persone. Chi scegli di buttare giù dalla torre dei tre e perché?

Le uniche che per certo non butto sono le persone. Quando sono stata chiamata nell’allora BPM, pur essendo la più giovane manager, ho avuto la grande fortuna di essere stata inserita in un gruppo di lavoro senza il quale non avrei fatto niente di quello che ho fatto, né sarei stata confermata nel nuovo gruppo con un ruolo di tale responsabilità. Sulle altre due scelte sono più combattuta. D’istinto ti avrei detto i soldi, però se hai idee e non hai i soldi per realizzarle non bastano le persone e le idee. E quindi butto dalla torre le idee, perché le persone ne genereranno di nuove e i soldi aiuteranno a metterle in pratica.

Una credenza direbbe che la finanza è una grande risorsa per le aziende. Ma dal nostro punto di vista la finanza può essere la benzina che alimenta il motore ma anche il carburante infiammabile. Quando secondo te è benzina e quando è carburante?

È benzina quando c’è un circuito virtuoso tra finanza e aziende, ovvero quando le regole di ingaggio sono chiare e quando l’azienda fa l’azienda e la banca fa la banca, senza commistioni di natura diversa. In tutti gli altri casi è materiale infiammabile.

 Se io ti dicessi “il numero non è il valore”, tu cosa mi risponderesti?

Il numero non può essere il solo valore, ma per una banca è comunque una parte del valore.

 Ultima domanda, alcuni finanziari dichiarerebbero che “i numeri ti diranno tutto quello che vuoi sapere” e noi rispondiamo “i numeri ti diranno tutto quello che vuoi sentirti dire”. Qualcosa da aggiungere?

Diciamo che ci hanno insegnato tutta la vita che la matematica è una scienza esatta; la finanza ha dimostrato invece che non è così. La realtà ha evidenziato che i numeri sono molto più modellabili di quanto si sarebbe mai immaginato.