#7 Pillola di cinismo

Quando nascono nuove religioni non possiamo fare a meno di riflettere su di loro.
La religione del nostro millennio si chiama “virtualesimo” che porta con sé profeti, comandamenti e, citando il pungente Enrico Mentana, un proselito di “webeti” convinti.

A quanto pare, infatti, come dimostrato da questo articolo, di cui non mettiamo in discussione la bontà dell’intento di mostrare la nuova via ma l’efficacia del risultato di esodare un’intero gregge, basterebbe esercitare scrupolosamente i “10 comandamenti mentali” per farsi aprire le porte del paradiso dalla propria audience ed essere eletti influencer piuttosto che santi.

E, mantenendo l’analogia, la riflessione è d’obbligo. Già perché, a quanto pare perseguendo il virtualesimo nelle sue differenti sfumature di pensiero, per immettersi sulla buona via, è essenziale osservare al pari del “ricordati di santificare le feste” il corrispettivo virtuale “ricordati di santificare il tuo post” e solo dopo di premere tasto invio.

Ci domandiamo quindi se la nuova religione virtuale non produca il medesimo effetto espresso dal filosofo Karl Marx quando diceva “la religione è l’oppio dei popoli“.

E quindi, poniamo il caso che, pur essendo un attento osservante di regole e teorie copia-incolla, io fallisca nell’intento di diventare un riferimento nel web, come potrei interpretare l’incongruenza di aver fatto scrupolosamente ciò che mi veniva detto di fare e di non aver d’altro canto ottenuto il premio digitale?

Vuol dire dunque che non ho osservato a dovere i comandamenti e quindi basterà aggiungere qualche # di quelli giusti, scrivere un post in più prima di andare a dormire e taggare la qualunque ogni mattina per essere riammesso nel regno degli influencer?

Oppure d’altro canto, è l’oppiacea omologazione di pensiero indirizzata dal virtualesimo che mi porta al fallimento?

Del resto se un’azione fallisce basta ripeterla compulsivamente di più e meglio, piuttosto che cambiare direzione alla ricerca della differenziante via.

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