#11 Pillola di cinismo: al Festival senza macchia, la reputazione è partecipata

Anche se ormai da giorni si è conclusa la kermesse musicale più famosa d’Italia, al punto che in molti non vorranno più sentirne parlare, non possiamo che unirci anche noi, contravvenendo forse ai ritmi dell’usanza mediatica, agli applausi del successo inaspettato dell’impresa sanremese. Un successo che nelle sue premesse, senza troppi giri di parole, aveva lasciate perplesse un po’ di persone, tra operatori del settore e spettatori. Credo che alcuni, inclusa la sottoscritta, alla notizia di Baglioni alla guida del Festival dei Fiori, abbiano commentato con un po’ di disappunto “e che c’azzecca?” Lo ammetto. Eppure lui, l’uomo dell’azzardo, il cantante che, nella sua lunga carriera, quelle scene le ha quasi snobbate, ha fatto ricredere anche i più dubbiosi, perché a conti fatti, con la sua strategia della competenza e sottrazione, è riuscito nell’impresa di far le scarpe sia alla doppietta di Carlo Conti sia al lungo lustro del Pippo nazionale. Così, nonostante il tentativo di “Striscia la notizia” di evidenziare la ridondanza della promessa di ogni conduzione da dieci anni a questa parte, “mettere la musica al centro”, capitan Baglioni non solo lo dice ma centra anche l’obiettivo, rendendo protagonista la musica e pure italiana, con tanto di inchino allo straniero Sting che, nei fatti, così estraneo al bel canto popolare non si è dimostrato.
Una conduzione in punta di piedi, quella del cantante dei falò estivi, che si è utilizzato sapientemente dandosi spazio quando era necessario farlo, lasciando con intelligenza il mestiere di mattatore dello spettacolo a chi quel mestiere lo sa fare.
E così ci siamo lasciati inebriare dai sorrisi ai limiti del reale della bella e divertente Michelle Hunziker, che, sconfessando il vecchio credo “bella ma stupida”, ti mette allegria solo a guardarla, vanificando l’effetto depressivo di qualsiasi film d’amore finito in tragedia. Che dire poi della vera rivelazione, Pier Francesco Favino? Un istrione della scena che conquista la top ten dei sogni di ogni italiana, ancor più dopo il toccante monologo finale dello straniero, che deve aver toccato anche le vendite dei kleenex se non proprio il cuore dell’irremovibile Matteo Salvini.
photo credits: Festival di Sanremo 2018 – LaStampa.it
E davanti a cotanta bellezza d’autore, finalmente interpreti emergenti sorpassano autori d’altri tempi che tra lifting all’occorrenza, sbavature vocali, autocelebrazioni più necessarie che sentite, mollano il podio a chi quel palcoscenico lo sa meglio padroneggiare.
Da una parte i secondi “Lo stato sociale” che, stonati quanto basta ma allegri in abbondanza e con una punta di cinismo che non guasta, hanno mandato in vacanza a quel paese tutti ma proprio tutti, che felici di andarci cantavamo le loro parole applaudendo con il sorriso, forse un po’ distratti dalla ballerina ultra ottantenne più sciolta di Heather Parisi nei suoi tempi migliori che ci ha fatto allietare con un “allora si può fare!”
E dall’altra i primi, Meta-Moro, pure sospesi per la paradossale ipotesi di auto-plagio che, come i paradossi meglio riusciti, ha dato più forza all’effetto della loro dichiarazione “non mi avete fatto niente, non mi avete tolto niente.” Parole queste che vincono e stravincono nel sentimento popolare, non solo per la diretta attinenza a fatti brutali del nostro quotidiano, ma perché chissà in quanti se ne saranno appropriati nei giorni successivi per replicare alla qualunque e a chiunque, marito disattento, moglie lamentosa e capo intollerante, per non dire qualcos’altro.
photo credits: Lo stato sociale – www.gioia.it
Ma, c’è sempre un “ma” nella mia natura cinica, dal mio punto di vista qualcosa a qualcuno è stato tolto. Infatti, nonostante questo Festival sembri essere senza peccato né peccatori, una piccola macchia, forse un neo, da intervento candeggina ci sarebbe, non nello spettacolo, ma almeno nelle retrovie. In molti avranno notato che quest’anno a prendersi l’intera cuccagna della visibilità, è stata una delle aziende, anzi l’azienda di telefonia per eccellenza, con tanto di appellativo “sponsor unico”. Per intenderci, sto parlando di un brand che con il ballerino in blu ha unito le Alpi allo stretto di Scilla e Cariddi e che, per l’attesa serata conclusiva della manifestazione canora, è riuscito nell’impresa di far calcare le scene dell’Ariston all’ologramma della tigre di Cremona, che sempre Mina è, lasciando stupefatti presenti e spettatori televisivi. Ebbene, un inciampo nella costruzione della propria reputAbility sembrerebbe che il brand in questione l’abbia fatto. Se riavvolgiamo il nastro del tempo, qualche settimana prima dell’inizio delle celebrazioni, la stessa azienda era stata protagonista di TG e quotidiani con un’altra notizia che titolava “11mila tra esuberi e ricollocamenti. Solidarietà di 20 minuti al giorno.”
In breve, ad inizio 2018, la stessa azienda, entra in trattativa sindacale per un piano triennale, con il quale, sebbene la finalità sia quella di intervenire sul perimetro occupazionale con 7500 tagli a fronte di 2000 nuove assunzioni, si intende adottare quella che hanno definito “solidarietà espansiva” e che, in soldoni temporali, si traduce in riduzione dell’orario di lavoro per 20 minuti al giorno, con annessa retribuzione, per gli oltre 50 mila lavoratori dell’azienda. Una notizia che, all’apparire del successivo jingle sanremese, con il brand in questione che si cucca tutta la torta mediatica, suscita in me un certo senso di ambivalenza comunicativa. Perché come si può, in così poco tempo, essere protagonista di una legittima trasformazione in cui si prevedono anche spiacevoli, seppur necessari, tagli retributivi e, parallelamente, investire soldi per un’esposizione con cifre da capogiro che supereranno di gran lunga anche i costosissimi People Show firmati De Filippi?
Per uscire dalla dissonanza mi verrebbe da dire “del resto è sempre stato così, è la legge del capitalismo, è la normalità!” Ma io che preferisco di gran lunga l’anormalità, anche quando si parla di capitalismo, e che sostengo il “non mi avete fatto niente, non mi avete tolto niente” così acclamato al Sanremo ben riuscito, provo a ristrutturarla con un’altra riflessione.
Forse ad essere sponsor unico del Festival nazionale non era il brand in questione ma piuttosto i 50.000 dipendenti dell’azienda che parteciperanno ognuno con la propria quota retributiva di 20 minuti al giorno.
E se così fosse, come non acclamare la prima forma di sponsorizzazione a partecipazione collettiva? TimTim!
cover photo credits: Jason Rosewell // Unsplash